C’era una volta a Berlino

Riviviamo la storica spedizione azzurra, con nove medaglie nelle tre armi, alle Olimpiadi del Reich tedesco. 

 

Le Olimpiadi di Berlino 1936, undicesima edizione dei Giochi dell’era moderna, sono passate alla storia dello sport e non solo essenzialmente per due ragioni, in qualche modo collegate tra loro. Innanzitutto furono insieme l’ultima rassegna olimpica prima dell’inizio del secondo conflitto mondiale tre anni più tardi e la massima espressione, un trionfo mediatico diremmo oggi, della macchina di propaganda del regime nazista del Terzo Reich: come non ricordare infatti le imponenti e scenografiche coreografie della cerimonia di apertura del 1° agosto 1936 di fronte a 120 mila spettatori o il film Olympia della regista di regime Leni Riefenstahl con cui per la prima volta un evento di portata internazionale e dal messaggio pacifista come le Olimpiadi viene piegato alla volontà di potenza di un regime totalitario? Il secondo motivo, sportivo e non solo, per cui oggi si ricordano i Giochi berlinesi sono le quattro medaglie d’oro conquistate nell’atletica leggera (100, 200 metri, staffetta 4×100 m e salto in lungo) da Jesse Owens, atleta nero e statunitense, sotto gli occhi di Adolf Hitler, colui che aveva teorizzato e stava applicando alla Germania e in breve tempo all’intera Europa le peggiori teorie razziste e antisemite ad oggi conosciute.

In questo contesto, le Olimpiadi del 1936 rappresentarono però anche una delle vette della scherma azzurra ai Giochi, e di certo l’apice per un’intera generazione di schermidori, che per ragioni anagrafiche non potrà più esprimersi nei dodici anni di “vacanza olimpica” dovuti alla guerra che trascorreranno prima di Londra 1948. A Berlino il Regno d’Italia, che nel medagliere sarà la terza forza con ben 22 medaglie alle spalle soltanto di Germania e Stati Uniti, poté contare su ben nove medaglie provenienti dalla scherma, per di più in tutte e tre le armi: quattro dalla spada (oro, argento e bronzo individuale, oro a squadre), tre dal fioretto (oro e bronzo individuali, oro a squadre) e due dalla sciabola (argento individuale e a squadre). Bisogna ricordare che le prove di scherma erano ancora riservate agli uomini, non erano infatti ancora previste le competizioni a livello femminile.

Protagonista principale fra le armi fu senza dubbio la spada, con le due medaglie d’oro vinte da Franco Riccardi: allievo della Società del Giardino di Milano, classe 1905, sotto l’ala del Maestro Nedo Nadi come dirigente, Riccardi aveva già conquistato due medaglie olimpiche, un oro a squadre ad Amsterdam 1928 e un argento a Los Angeles 1932, e a Berlino raggiunse l’apice della carriera trionfando per la prima volta a livello individuale. Il podio della spada individuale fu completato da altri due azzurri, Saverio Ragno (padre di quella Antonella Ragno che, trentasei anni più tardi, conquisterà l’oro nel fioretto femminile a Monaco 1972) e Giancarlo Cornaggia-Medici, i quali andarono a comporre il sestetto che conquistò l’oro a squadre davanti a Svezia e Francia insieme a Giancarlo Brusati, Alfredo Pezzana e a un giovanissimo Edoardo Mangiarotti, che a soli 17 anni mise al collo il primo di 13 ori olimpici (l’ultimo nella prova a squadre di Roma 1960, a 24 anni di distanza), che ne fanno ancora oggi l’atleta azzurro più medagliato di ogni epoca, e il quarto a livello mondiale, nei Giochi a cinque cerchi.

Altre tre medaglie arrivarono dalle prove di fioretto: due terzi del podio a Berlino è azzurro, con l’oro conquistato da Giulio Gaudini, un gigante tanto per l’altezza di due metri esatti quanto per la poliedricità nelle discipline in quanto tirava a livelli assoluti in due diverse armi, fioretto e sciabola, tanto che sempre a Berlino fece parte anche della squadra azzurra di sciabola che vinse la medaglia d’argento, e il bronzo di Giorgio Bocchino, che insieme allo stesso Gaudini e a Manlio Di Rosa, Gioacchino Guaragna, Gustavo Marzi e Ciro Verratti componeva la squadra che vinse l’oro precedendo sul podio Francia e Germania.

Dalla sciabola le ultime due medaglie: nessun oro a completare un ideale en plein (sui gradini più alti del podio di specialità salirono rispettivamente Endre Kabos, che così bissò l’oro di Los Angeles di quattro anni prima, e la sua Nazionale, l’Ungheria), ma due medaglie d’argento con Gustavo Marzi, anch’egli di “arma doppia” come Gaudini, nell’individuale e con il sestetto a squadre composto dagli stessi Marzi e Gaudini e da Aldo Masciotta, Vincenzo Pinton, Athos Tanzini e Aldo Montano, capostipite di una dinastia schermistica che resiste ancora oggi con il nipote suo omonimo (oro nella sciabola ad Atene 2004) nonché ultimo rappresentante del gruppo di talentuosi allievi cresciuti dal Maestro Nedo Nadi al Circolo Scherma Fides di Livorno.

Twitter: MattiaBoretti

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