Un atleta è anche artista

Si è fermata un anno e mezzo, poi ha deciso. Va in Brasile, per ricominciare la sua carriera sportiva e proseguire quella artistica. Nathalie Moellhausen ha fatto una scelta radicale, tirando fuori dal cassetto un passaporto mai usato prima. E l’ha raccontato a Pianeta Scherma.

 

Con la scritta Italia sulla divisa ha scritto pagine di storia della spada tricolore. Un titolo mondiale a squadre, un bronzo individuale. Poi, dopo l’Olimpiade di Londra, Nathalie Moellhausen ha deciso di fermarsi. Un anno e mezzo senza gare, a occuparsi dell’altra sua grande passione. A novembre è stata direttore artistico della cerimonia per il centenario della Fie. Quindi ci ha pensato su, e col nuovo anno ha deciso di tirar fuori dal cassetto il suo passaporto brasiliano. Cambia bandiera Nathalie, e Paese. Una scelta radicale che ha le sue ragioni. Ma che non è stata semplice.

Lasci l’Italia e voli in Brasile. Quanto è stato difficile fare questa scelta? Quanto a lungo ci hai pensato?
Una scelta, sopratutto di questa importanza, richiede molta riflessione, valutare tutti i pro e i contro, tutto quello che si perde e tutto quello che si guadagna, e ne sono consapevole. Come sapevo e tutti sapevano, questo passaporto è sempre stato lì nel cassetto e non ci ho mai pensato veramente. Nell’ultimo anno sono cambiate tante cose nella mia vita e di conseguenza anche le mie opportunità. Io sono convinta che le cose arrivano quando devono arrivare, riceviamo un segnale, l’occasione si presenta per diverse ragioni e scegliamo di coglierla se la riteniamo importante per il nostro futuro.

Cosa ti offre il Brasile che in Italia non hai trovato?
L’Italia mi ha offerto tantissimo e per tantissimi anni. Oggi il Brasile mi propone una nuova sfida, sotto il profilo sportivo e imprenditoriale, e per me le due cose vanno insieme. Un atleta è anche imprenditore di se stesso.

Nell’ultimo anno e mezzo sei stata lontana dalle pedane, ma sempre dentro la scherma. Oggi ti senti più atleta o più artista? 
Per me un atleta è un artista. È qualcuno che nasce con un talento che all’inizio esegue istintivamente e che con il tempo perfeziona studiando e faticando per dare vita alla sua opera. La scherma la vivo cosi, come un processo evolutivo in cui posso dare spazio alla fantasia e creatività. Mi sono allontanata dalle pedane di gara. Per me è stata la miglior cosa che potesse succedermi dopo l’Olimpiade di Londra. Mi sono ritrovata con l’opportunità di occuparmi della direzione artistica del Centenario della Fie e oggi sento di aver imparato un mestiere e ho potuto dare vita a molte delle idee che per anni avevo elaborato, sempre pensando al potenziale non sfruttato della scherma come sport d’intrattenimento.

Brasile fa rima con Rio 2016. Ti vedremo ai Giochi? In vesta di atleta? Di direttrice artistica?
Preferisco andare per gradi. Come atleta, intanto devo riapparire nel ranking modiale dopo il lungo letargo. La strada è bella lunga e il Brasile è comunque nuovo per me. Dietro l’apparenza di una scelta facile, in realtà so che in un certo senso riparto da zero ed è tutto da costruire. E  questo è per me un grande stimolo.

Che progetti hai in cantiere?
Dei progetti in cantiere non amo parlare anticipatamente. Dopo l’evento sto raccogliendo i frutti del lavoro fatto per dirigere nuovi progetti su cui sto lavorando.

Quando è scattata in te la molla che ti ha allontanato dalle pedane? Che peso ha avuto l’Olimpiade di Londra nella tua decisione?
La molla mi è scattata dopo le Olimpiadi. Avevo già ricevuto l’offerta di lavoro e il livello di impegno non avrebbe mai potuto consentirmi di fare entrambe le cose. Per me l’Olimpiade di Londra è stato il miglior sapore amaro in bocca che abbia mai assaporato. Il giorno dopo la gara a squadre, ho deciso che la mia vita sarebbe cambiata radicalmente. E cosi è stato, prima con l’evento della Fie e oggi con il Brasile. Lo considero un momento positivo che mi ha dato l’occasione per crescere e maturare.

Quali sono i ricordi che ti porterai sempre nel cuore della tua esperienza in azzurro?
Difficile elencarli tutti. Sicuramente le gare a squadre con le mie compagne. Anche se considero la scherma uno sport individuale, ho ritrovato anche nel lavoro di direttrice artistica, il piacere di lavorare per un obbiettivo comune. Cercare le strategie, dividersi gli incarichi, con le ragazze abbiamo ottenuto tantissimi risultati eccellenti e il bello è stato crescere e affermarsi anche insieme. Ho legato con diverse persone con cui ho condiviso momenti importanti e che oggi me ne hanno dato prova di fronte anche a questa mia scelta. Tutti questi li porto con me.

La tua vita si può dividere tra tre Paesi. L’Italia, la Francia e il Brasile. Per l’Italia hai scritto pagine di storia di scherma, in Francia vivi, ti alleni e hai avuto possibilità artistiche. Oltre ad averci conquistato un bronzo mondiale. Cosa ti aspetti dal Brasile?
Bella domanda. Io penso piuttosto cosa si aspetta il Brasile da me. Loro stanno accogliendo il mio progetto, il resto dovrò farlo io. Parlando di scherma, spero che il suo sole riscaldi la mia pedana che ho raffreddato per un anno e mezzo.

Ti vedremo presto in Coppa del Mondo col Brasile?
Sto cominciando ora a pianificare con la nazionale Brasiliana la stagione.

Che effetto ti farà tirare sotto un’altra bandiera e affrontare quelle che una volta erano le tue compagne di nazionale?
Una domanda che mi hanno fatto diverse persone. Se devo essere sincera, si è più rivali quando si è sotto la stessa bandiera, perché ci si deve conquistare il proprio posto in squadra. Sarà strano vedermi con altri colori, ma quando si tira, il bersaglio resta bianco per tutti.

 

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Foto di Augusto Bizzi per Federscherma
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