Un forziere di medaglie chiamato sciabola

L’oro delle sciabolatrici, il bronzo di Irene Vecchi e della squadra maschile. La sciabola azzurra torna a casa in grande stile dalla Germania, non senza qualche rammarico.

 

Se il fioretto a Lipsia è stata l’arma azzurra che ha portato a casa il maggior numero di metalli, l’altra grande protagonista sulle pedane tedesche in Germania è stata la sciabola guidata da Giovanni Sirovich. Una dote di tre medaglie, di cui una d’oro, e qualche pizzico di rammarico per un bottino che avrebbe potuto essere qualcosa di più ricco. Questione di dettagli da limare, ma che non offuscano comunque la positività del giudizio complessivo verso due gruppi, quello femminile e quello maschile, che in Germania si è battuto con grande onore. Sancendo il pieno funzionamento di quel progetto giovani varato ormai da tempo dal commissario tecnico azzurro, e che in questi giorni sta pagando dividendi importanti.

L’oro delle sciabolatrici è snza dubbio l’impresa copertina della spedizione dell’Italsciabola. La punta dell’iceberg di una stagione in cui Martina Criscio, Rossella Greogrio, Loreta Gulotta e Rossella Gregorio – senza dimenticare la preziosa collaborazione di Sofia Ciaraglia – hanno recitato le parti delle protagoniste assolute: due vittorie in Coppa del Mondo, altrettanti podi e il trionfo di Tbilisi hanno lanciato le sciabolatrici verso il più bello dei finali. Erano le favorite del pronostico e non hanno tradito, soffrendo solo nel sempre difficile match contro la Francia in semifinale: facile con il senno di poi, meno quando la pressione per la posta in palio potrebbe giocare brutti scherzi. Ma è bastato il primo giro di assalti contro la Corea in finale per dissipare ogni dubbio e far capire che tutto sarebbe andato a finire nel giusto verso delle cose.

La prova individuale ha regalato il bronzo di Irene Vecchi. Davvero un peccato che la livornese non sia riuscita a concretizzare l’ottimo avvio su Azza Besbes (8-0) fino a subire la rimonta della tunisina e la beffa finale, ma ci vogliamo accodare a lei e alle sue parole dell’immediato post gara e parlare degli aspetti positivi: è arrivata un’altra medaglia mondiale dopo quella conquistata quattro anni fa a Budapest, e ha chiuso con un metallo pesante la stagione della ripartenza post Olimpica. Peccato per le altre azzurre, uscite troppo presto di scena (già ai 32 Gulotta e Criscio, con quest’ultima che paga anche una “distrazione” arbitrale sulla stoccata che le avrebbe consegnato la vittoria), mentre Rossella Gregorio incoccia in un tabellone difficile che le riserva Olga Kharlan agli ottavi.

Tante le note positive anche per il settore maschile: a partire dalla squadra, che pur non riuscendo a centrare la settima finalissima in altrettante gare, chiude comunque la sua stagione senza mai scendere dal podio. Dario Cavaliere, chiamato a sostituire Aldo Montano, non subisce l’emozione dell’esordio a un grande appuntamento, Luigi Samele ed Enrico Berrè – quest’ultimo riscattatosi alla grande dopo la delusione dell’eliminazione al primo turno nella gara individuale – si sono confermati a livello strepitoso.

A livello individuale, il migliore è stato Luca Curatoli. Splendida la stagione del ragazzo napoletano, che dopo le difficoltà della scorsa stagione è ripartito alla grande, ha timbrato la sua prima vittoria in Coppa del Mondo. A livello individuale ha sfiorato il podi, ma la vera certificazione della sua forza è arrivata nella gara a squadre, nella reazione immediata al passo falso costato la finale all’Italia, stesa da una rimonta di Aron Szilagyi: ct e compagni gli han dato di nuovo fiducia, lui l’ha ripagata conducendo in porto con sicurezza la medaglia di bronzo anche quando Daryl Homer sembrava potersi fare di nuovo sotto. Un campione si vede soprattutto da queste cose.

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Fotografia Augusto Bizzi

 

 

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